Testo
del disegno di legge contro le discriminazioni, comprese quelle
per orientamento sessuale, approvato dal Consiglio dei Ministri
nella giornata di venerdì 8 ottobre '99
Progetto
elaborato dal Ministero per le Pari Opportunità
SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE
MISURE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI E PER LA PROMOZIONE DI PARI
OPPORTUNITÀ
RELAZIONE ILLUSTRATIVA e articolato
Il provvedimento ha lo scopo di dare piena attuazione al principio
di uguaglianza di cui all'art.3 della Costituzione, alla luce
del nuovo art.13 del Trattato di Amsterdam, affrontando il
problema del divieto di discriminazione per tutte le cause
indicate da entrambe le norme. Si tratta delle differenze
di sesso, di razza o origine etnica, di religione o convinzioni
personali, di opinioni politiche, di disabilità, di età, di
orientamento sessuale, di condizioni personali o sociali.
Com’è noto il nostro ordinamento civilistico è assai
povero di strumenti di tutela in via d’urgenza dei diritti
connessi con il divieto di discriminazione. Le azioni giudiziarie
già previste sono tutte tipiche, e le relative pretese possono
essere azionate in contesti limitati. In particolare, le azioni
menzionate sono quelle previste dagli artt. 15 e 18 e 28 della
legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), dall’art.
4 della legge 10 aprile 1991, n. 125 sulle pari opportunità
nel lavoro, e ora dall’art. 44 del Decreto legislativo
5 luglio 1998, n. 286 (T.U. sulla disciplina dell’immigrazione).
In base alle norme dello Statuto dei lavoratori è possibile
agire in giudizio contro una discriminazione posta in essere
dal datore di lavoro per motivi di affiliazione sindacale.
La legge sulla parità tra uomo e donna n. 903/77 ha esteso
l’esperibilità dell'azione ai casi di discriminazione
politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso. L'azione
ex art. 4 della legge n. 125/91 riguarda le discriminazioni
in ragione del sesso, ma può essere esperita solo se la discriminazione
si è verificata sul lavoro. L'azione civile prevista dall’art.
44 del T.U. sull'immigrazione è relativa alle discriminazioni
per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Come si vede, la materia è alquanto frammentata e dispersa.
L’obiettivo del disegno di legge è integrare gli strumenti
normativi esistenti, dando a tutte le persone che abbiano
sofferto una discriminazione, per qualsiasi causa e in qualsiasi
contesto economico-sociale, la possibilità di agire in giudizio
in via d’urgenza per la cessazione del comportamento
discriminatorio e per la rimozione dei suoi effetti. Si tratta
dunque di allargare l’ambito della giustiziabilità delle
situazioni soggettive tutelate dal divieto di discriminazione,
con la previsione di un’azione rapida, di natura cautelare.
La generalizzazione della tutela giudiziale ha anche lo scopo
di fare emergere una casistica, con riferimento a tutte quelle
situazioni che attualmente non hanno alcun tipo di emersione
giudiziaria. Ciò contribuirà anche a fare crescere una consapevolezza
diffusa sull’esistenza delle discriminazioni e sulla
necessità di una efficace azione di contrasto.
L’art.1 ripropone le formule dell’art.3 Cost.
integrando l’elenco delle cause di discriminazione con
quelle previste dall’art.13 CE. La formulazione “differenze
di sesso” è stata preferita a “differenze di genere”
poiché tutte le fonti normative, anche al livello internazionale,
fanno riferimento al sesso nelle norme specificamente dedicate
al divieto di discriminazione. L’espressione qui utilizzata
consente perciò di fare riferimento alla ricca interpretazione
già consolidata. Benché l’art.13 CE rechi la formulazione
“origine razziale ed etnica”, si preferisce continuare
a parlare di “razza”, anche in questo caso per
il maggiore grado di consolidamento del termine e della sua
interpretazione. E’ stata tuttavia aggiunta la formulazione
relativa all’ “origine etnica”, mutuata
dal Trattato di Amsterdam. L’indicazione dell’età,
della disabilità e dell’orientamento sessuale sono pure
riprese dall’art.13 CE.
Nel testo viene usata l’espressione “donne e uomini”
per designare in modo non neutro il complesso dei soggetti
destinatari delle norme di tutela. La formulazione va perciò
letta alla luce delle innovazioni linguistiche contenute nella
Direttiva P.C.M. 27 marzo 1997 “Azioni volte a promuovere
l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne,
a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale
a donne e uomini”. In altri termini, anche sulla scorta
di atti normativi internazionali come lo Statuto della Corte
penale internazionale, si preferisce definire un certo collettivo,
piuttosto che con termini come “tutti i cittadini”
o consimili, con il riferimento all’appartenenza dei
suoi componenti a uno dei due sessi. La formulazione “donne
e uomini” non è viceversa interpretabile come riferita
alla sola discriminazione in base al sesso. Il contesto del
disegno di legge è infatti chiaramente comprensivo di tutte
le discriminazioni, per qualsiasi causa. L’identità
di genere peraltro è sempre trasversale all’appartenenza
a un gruppo o al possesso di una condizione personale che
in ipotesi potrebbero essere fattori causativi di una discriminazione.
In tal caso la discriminazione in base al sesso potrebbe sommarsi
alla discriminazione per altra causa. L’ipotesi non
è scolastica, poiché la compresenza di diverse ragioni di
discriminazione non di rado si verifica nella realtà sociale.
L’art.2, oltre a vietare nel primo comma ogni atto,
patto o comportamento discriminatorio, dà la definizione di
discriminazione indiretta con una formulazione che riprende
la definizione contenuta nel comma 2, articolo 4 della legge
125/91. Per le discriminazioni che si verificano nell’ambito
dei rapporti di lavoro è prevista una tutela rafforzata. Infatti,
mentre in generale la prova liberatoria rispetto alla insussistenza
della discriminazione può consistere nella dimostrazione che
il diverso trattamento ha una giustificazione oggettiva, per
ciò che concerne l’attività lavorativa o di impresa
occorre provare che la ragione giustificativa riguarda un
requisito essenziale allo svolgimento della prestazione.
Il comma 3 dell’art.2 riguarda le azioni positive. Finora
né l’ordinamento interno né l’ordinamento comunitario
hanno fornito una vera e propria definizione, limitandosi
l’art.1 della legge n. 125/91 a menzionare le “azioni
positive per le donne” come misure da adottare al fine
di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione
di pari opportunità. La definizione contenuta nel disegno
di legge è più ampia, e si riferisce a ogni misura volta a
eliminare tutte le disuguaglianze di fatto, non solo tra donne
e uomini. La formulazione rinvia a ulteriori atti normativi,
o ai contratti collettivi, o ad altri atti adottati nell’esercizio
di poteri autoritativi o di sovraordinazione, che di volta
in volta dovranno indicare i destinatari delle specifiche
misure di favore, ai motivi e alle finalità per le quali esse
vengono adottate. Si prevede espressamente che le azioni positive
non ricadono nel divieto di discriminazione; con ciò si indica
un criterio limitativo destinato a operare in sede giudiziaria,
in relazione alla valutazione sull’esistenza della discriminazione
lamentata.
Il comma 4 dell’art.2 indica i principi ai quali devono
conformare la propria attività, anche mediante atti organizzativi,
le amministrazioni pubbliche anche ad ordinamento autonomo,
le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, gli
enti pubblici, anche economici, gli enti locali ed i loro
consorzi ed i soggetti a controllo o a partecipazione maggioritaria
pubblica, ovvero esercenti pubblici servizi. La disposizione
ripropone i principi contenuti nella citata Direttiva P.C.M.
27 marzo 1997 e nell’art. 61 del D. Leg.vo n. 29/93
in materia di pari opportunità tra donne e uomini, specificandoli
e soprattutto ampliandone la portata in relazione a tutte
le potenziali cause di discriminazione. In particolare, la
norma indica il metodo dell’integrazione dei principi
di non discriminazione e pari opportunità nelle politiche
generali e di settore, nel complesso dell’attività delle
pubbliche amministrazioni, e segnatamente negli atti di programmazione
ed organizzativi. La seconda specificazione riguarda la promozione
di politiche per l’occupazione, anche attraverso misure
relative ai tempi e all’organizzazione del lavoro, volte
a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale
a donne e uomini. Le pubbliche amministrazioni sono così chiamate
non solo ad assicurare che non si verifichino discriminazioni,
ma anche a svolgere un’attività di carattere promozionale,
finalizzata a creare condizioni di pari opportunità. Anche
in questo caso la formulazione “donne e uomini”
designa in modo sessuato l’universo di riferimento,
senza limitare l’operatività della norma alla sola parità
uomo-donna.
Benchè l’integrazione dei principi di non discriminazione
e pari opportunità nell’attività della pubblica amministrazione
sia ricavabile in via interpretativa dall’art. 3 della
Costituzione, il carattere innovativo della disposizione di
cui all’art. 2, comma 4 consiste nella indicazione di
una nozione ampia di pari opportunità, risultante sia dall’estensione
alle differenze indicate nell’art. 1 di concetti che
sono stati originariamente formulati in relazione alla sola
differenza di genere, sia dall’indicazione di una doppia
valenza delle politiche di pari opportunità, di garanzia contro
le discriminazioni e di promozione di iniziative positive
finalizzate alla realizzazione del principio di uguaglianza.
La valenza di questa disposizione va sottolineata soprattutto
in relazione ai problemi posti dall’evoluzione in senso
multiculturale e multietnico della nostra società.
L’art. 3 disciplina l’azione in giudizio, volta
a ottenere la cessazione del comportamento pregiudizievole
e la rimozione dei suoi effetti. Si tratta di un’azione
di natura cautelare e urgente, che fa salva la possibilità
di agire in via ordinaria per il risarcimento del danno. L’azione
ha carattere residuale, nel senso che trova applicazione nei
casi in cui l’ordinamento non prevede uno strumento
di tutela tipico. L’ambito applicativo tuttavia è assai
ampio, poiché comprende tutte le discriminazioni per motivi
di disabilità, di età, di orientamento sessuale, di condizioni
personali e sociali verificatesi in qualsiasi contesto, nonché
le discriminazioni per motivi di sesso, di lingua e di opinioni
politiche verificatesi al di fuori dell’accesso o dello
svolgimento del rapporto di lavoro ovvero del licenziamento.
Il comma 2 fissa una regola di competenza territoriale particolarmente
favorevole all’istante, in base alla quale il giudice
competente è sempre quello del luogo di domicilio dello stesso
istante.
Ai sensi del comma 3, quando la domanda è rivolta alla pronuncia
di provvedimenti urgenti, si applica la disciplina dei procedimenti
cautelari ex artt. 669-bis e seguenti del codice di procedura
civile, con un’importante innovazione. Poiché in relazione
alle situazioni soggettive specificamente contemplate dal
disegno di legge la tutela cautelare può talora essere esaustiva,
sulla scorta di precedenti già esistenti nell’ordinamento
la fase di merito è qui prevista come meramente eventuale.
Se infatti l’ordinanza che definisce la fase cautelare
è pronunciata prima del giudizio di merito, il giudice provvede
sulle spese anche nel caso di accoglimento dell’istanza.
In questo caso il procedimento si esaurisce, non applicandosi
l’art. 669-octies che obbliga l’istante a iniziare
la causa di merito entro un termine perentorio. Non si applica
neanche l’art. 669-novies, nelle parti in cui disciplina
la perdita di efficacia del provvedimento cautelare in caso
di mancato inizio del procedimento di merito nel termine.
Il quarto e quinto comma dell’art.3 riprendono l’art.44
del T.U. sulla disciplina dell’immigrazione, rispettivamente
il comma 10 e il comma 9, ampliandone il campo di applicazione
al di là dell’ambito lavoristico. Pertanto, in base
al comma 4, se viene posto in essere un atto, patto o comportamento
discriminatorio di carattere collettivo, la domanda per l’accertamento
della discriminazione e per la sua rimozione può essere proposta
dagli enti o associazioni rappresentativi dei diritti e degli
interessi del gruppo cui appartengono i soggetti passivi della
discriminazione. Questa norma è preordinata all’effettività
della tutela giudiziaria.
Per quanto riguarda il regime della prova, il comma 5 introduce
una norma di favore per la persona vittima della discriminazione,
che al fine di dimostrare la sussistenza del comportamento
pregiudizievole può dedurre elementi di fatto, anche a carattere
statistico, relativi a fenomeni di carattere collettivo. Tali
elementi sono valutati dal giudice secondo il suo prudente
apprezzamento ai sensi dell’art.2729, primo comma, del
codice civile, che non ammette se non presunzioni gravi, precise
e concordanti. Si tratta di una disposizione di notevole rilevanza,
frutto di una scelta politicamente impegnativa. La regola
infatti comporta un significativo alleggerimento dell’onere
probatorio a carico dell’istante, poiché rende assai
più agevole, rispetto al regime ordinario, la dimostrazione
dell’esistenza della discriminazione. Infatti l’istante
potrà dedurre a sostegno della sua pretesa dati statistici
volti a documentare ad esempio l’ingiustificata sottorappresentazione
di un gruppo in un certo contesto economico-sociale. Tuttavia
la disposizione non si spinge fino a configurare una inversione
dell’onere della prova simile a quella contenuta nell’art.
4 della legge n. 125/91, secondo cui in tal caso il convenuto
deve provare l’insussistenza della discriminazione.
Ai sensi dell’art.3, comma 5 del presente disegno di
legge, sulla scorta di quanto peraltro già previsto dall’art.
44 del T.U. sulla disciplina dell’immigrazione, è invece
lasciata alla discrezionalità del giudice la valutazione,
da effettuare caso per caso, circa l’idoneità degli
elementi dedotti dall’istante a fondare la presunzione
dell’esistenza della discriminazione.
Ai sensi del comma 6, in caso di elusione dei provvedimenti
del giudice si applica l’art.388, primo comma, del codice
penale.
Qualora si dia luogo alla fase di merito, ai sensi del comma
7 il giudice potrà liquidare, qualora ritenuto sussistente,
il danno non patrimoniale. Si tratta di una norma innovativa
che, sulla scorta dell’analoga previsione dell’art.
44 del T.U. sulla disciplina dell’immigrazione, indica
il comportamento discriminatorio come fattore causativo del
danno non patrimoniale. Dunque l’accertamento in fase
di cognizione dell’esistenza della discriminazione costituisce
uno dei casi previsti dalla legge nei quali il giudice è espressamente
facultato alla liquidazione del danno non patrimoniale, anche
indipendentemente dalla condanna per reato ex art. 185 del
codice penale. DIPARTIMENTO PARI OPPORTUNITA’
UFFICIO LEGISLATIVO
SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE
“MISURE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI E
PER LA PROMOZIONE DI PARI OPPORTUNITÀ
Articolo 1
(Finalità)
1. La presente legge ha lo scopo di promuovere la piena attuazione
del principio di uguaglianza, assicurando che le differenze
di sesso, di razza, di origine etnica, di lingua, di religione
o di convinzioni personali, di opinioni politiche, di disabilità,
di età, di orientamento sessuale, di condizioni personali
e sociali non siano causa di discriminazione, al fine di consentire
il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di donne e uomini all'organizzazione politica, economica e
sociale del paese.
Articolo 2
(Principi e definizioni)
1. E’ vietato porre in essere atti, patti o comportamenti
che producono un effetto pregiudizievole discriminando anche
in via indiretta le persone in ragione delle qualità soggettive
indicate all’articolo 1 della presente legge.
2. Per discriminazione indiretta si intende ogni disposizione,
criterio o pratica formalmente neutri, che svantaggiano in
misura proporzionalmente maggiore una o più persone in ragione
delle qualità soggettive indicate all’articolo 1 della
presente legge, salvo che tale disposizione, criterio o prassi
siano giustificati da ragioni obiettive, non basate sulle
suddette qualità ovvero, nel caso di lavoro o di impresa,
riguardino requisiti essenziali al loro svolgimento.
3. I soggetti privati e pubblici e le amministrazioni pubbliche
promuovono azioni positive, intese come misure adottate con
atti normativi o con contratti collettivi, o nell’esercizio
di poteri autoritativi o di sovraordinazione, volte a eliminare
le disuguaglianze di fatto che ostacolano la piena partecipazione
di ogni persona a tutte le attività e a tutti i livelli, compresi
quelli decisionali. Le azioni positive non ricadono nel divieto
di discriminazione.
4. Le amministrazioni pubbliche anche ad ordinamento autonomo,
le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, gli
enti pubblici, anche economici, gli enti locali ed i loro
consorzi ed i soggetti a controllo o a partecipazione maggioritaria
pubblica, ovvero esercenti pubblici servizi, conformano la
propria attività, anche mediante atti organizzativi, ai seguenti
principi:
a) integrazione dei principi di non discriminazione e pari
opportunità nelle politiche generali e di settore, negli atti
di programmazione ed organizzativi;
b) promozione di politiche per l’occupazione, anche
attraverso idonee misure relative ai tempi e all’organizzazione
del lavoro, volte a riconoscere e garantire libertà di scelte
e qualità sociale a donne e uomini.
Art.3
(Tutela giudiziale)
1. Fuori dai casi regolati da altre disposizioni di legge,
quando il comportamento di un soggetto privato o pubblico
o di un’amministrazione pubblica produce una discriminazione
per i motivi di cui all’articolo 1, l’interessato
può chiedere al giudice la cessazione del comportamento pregiudizievole
e la rimozione dei suoi effetti, salvo il risarcimento del
danno.
2. L’azione si propone dinanzi al giudice del luogo
di domicilio dell’istante.
3. Quando la domanda è rivolta alla pronuncia di provvedimenti
urgenti, si applicano le disposizioni di cui agli articoli
669-bis e seguenti del codice di procedura civile. Se l’ordinanza
è pronunciata prima del giudizio di merito, il giudice provvede
alla liquidazione delle spese del procedimento anche nel caso
di accoglimento dell’istanza; in tal caso non si applicano
le disposizioni di cui all’articolo 669-octies ed ai
commi primo e, secondo e quarto, n. 1, dell’articolo
669-novies del codice di procedura civile.
4. Se viene posto in essere un atto, patto o comportamento
discriminatorio di carattere collettivo, anche quando non
siano individuabili in modo immediato e diretto le persone
lese dalla discriminazione, la domanda può essere proposta
dagli enti o associazioni rappresentativi dei diritti e degli
interessi del gruppo a cui appartengono i soggetti passivi
della discriminazione.
5. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza a proprio
danno del comportamento discriminatorio per i motivi di cui
all’articolo 1, può dedurre elementi di fatto, anche
a carattere statistico, relativi a fenomeni di carattere collettivo.
Il giudice valuta i fatti dedotti nei limiti di cui all’articolo
2729, primo comma, del codice civile. Comma Eliminato
6. Chiunque elude l’esecuzione dell’ordinanza
che accoglie il ricorso è punito ai sensi dell’articolo
388, primo comma, del codice penale.
7. Con la sentenza che definisce il giudizio, il giudice condanna
il responsabile della discriminazione al risarcimento dei
danni non patrimoniali, a norma dell’articolo 2059 del
codice civile.
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