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Omosessualità e lavoro. Discussa una tesi di laurea sulle discriminazioni degli omosessuali nel lavoro

Chiara Caproni di Perugia ci racconta la sua esperienza e ringrazia NOI per il materiale utilizzato per la sua tesi di laurea

A chi ha chiesto la tesi di laurea e perché?
Ho chiesto la tesi al professore Siro Centofanti, docente di diritto del lavoro e di sicurezza sociale presso la facoltà di giurisprudenza di Perugia e noto avvocato lavorista. L'ho chiesta in diritto del lavoro, in quanto è una materia che da subito ho sentito affine, a causa della sua genesi: come è stato, infatti, autorevolmente osservato, il diritto del lavoro nasce per attenuare la disuguaglianza sostanziale tra l'imprenditore ed i suoi dipendenti e tale funzione correttiva di disparità ha mantenuto nel tempo il suo nucleo centrale; e inoltre l'ho chiesta in particolare al professore Centofanti in quanto ero stata sempre molto colpita dal suo modo brillante di fare lezione e in quanto sapevo che era solito assegnare ai propri laureandi temi particolarmente interessanti (per esempio, temi poco trattati dalla dottrina e temi che necessitano di una trattazione interdisciplinare). Ho scelto, dunque, tra quattro titoli quello riguardante la tutela contro le discriminazioni derivanti da orientamento sessuale.
Conosceva l'argomento?
Ero ovviamente a conoscenza delle norme antidiscriminatorie giuslavoristiche, ma non della situazione soggettiva di chi ha un orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale, sebbene mi sembrasse abbastanza ovvio che tali soggetti fossero tutelati sia dalla previsione normativa dell'articolo 3 della nostra Costituzione comma 1, che sancisce il principio di eguaglianza fra tutti i cittadini senza distinzione di sesso, che dalla previsione normativa dell'articolo 2 della Costituzione che sancisce il riconoscimento e la garanzia da parte dello Stato dei diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, dovendosi ritenere, l'identità sessuale, come un aspetto dello svolgimento della personalità e in quanto tale necessariamente tutelato dallo Stato e riconosciuto dalla collettività per dovere di solidarietà sociale. Sembrava, dunque necessario soltanto interpretare l'espressione <> alla luce del significato dell'articolo 2 della Costituzione per scongiurare la discriminazione di chi non è eterosessuale. Purtroppo, però, le ricerche sull'argomento della mia tesi hanno dimostrato, se ce ne era bisogno, che lasciare all'interpretazione estensiva dei giudici la tutela contro le discriminazioni derivanti da orientamento sessuale è troppo rischioso, in virtù della facile strumentalizzazione della tutela di altre situazioni, al fine di censurare la libertà di esprimere il proprio orientamento sessuale se non eterosessuale; è stato, infatti osservato autorevolmete che la discriminazione nasce da un processo sociale complesso che si riproduce in forma istituzionalizzata anche in virtù della sua capacità di ammantarsi di dignità (vedi il caso della discriminazione storica delle donne e del suo rapporto con il loro ruolo riproduttivo) e facile, dunque, sarebbe per un giudice giustificare una decisione sostanzialmente discriminatoria attraverso argomentazioni che mettono in risalto l'apparente conflitto fra la libertà di esprimere il proprio orientamento sessuale non eterosessuale e un interesse maggiormente degno di tutela: quale, per esempio, l'integrità della famiglia e quella morale del fanciullo connessa a sua volta anche a quella della famiglia. In poche parole ci sono settori lavorativi, particolarmente efficace è l'esempio di quello dell'insegnamento, ad alto rischio ossia dove la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale può ammantarsi, o forse sarebbe il caso di dire camuffarsi, sotto le vesti di quella dignità di cui sopra. Per non parlare, poi, dell'altra pericolosa peculiarietà di tale discriminazione, come di tutti i tipi di discriminazione: la limitazione che viene dagli stessi soggetti discriminati che partecipano involontariamente a quel processo sociale complesso da cui si origina la discriminazione, attraverso la condivisione della propria inferiorità rispetto al così detto gruppo dominante, autolimitazione da cui consegue una scarsa denuncia dei casi di discriminazione, per lo meno nelle aule di giustizia.
E' stato facile reperire il materiale e ce ne è molto?
Appena riferito a casa l'argomento della mia tesi mio padre mi ha suggerito di contattare Franco Grillini, ma né io ne lui pensavamo che in realtà l'avrei fatto. Poi, gentilmente, Patrizia dell'Arcigay di Perugia mi ha invitato a chiamarlo per avere indicazioni sul reperimento del materiale giuridico sul tema, che era quello che non riuscivo a reperire a fronte di una grande abbondanza di materiale letterario e di documenti di vario genere, utilizzati anch'essi nel redigere la tesi. E' stato in virtù, dunque, dei consigli di Grillini e anche dell'acquisizione di una maggiore dimestichezza con il computer, prima oggetto da me quasi inidentificato, che ho svolto con successo l'attività di reperimento del materiale giuridico su NOI (Notizie Omosessuali Italiane, ndr) sia attraverso le sue pagine che attraverso i vari link.
Quali erano le reazioni di chi veniva a conoscenza dell'argomento della sua tesi?
Questa si che è una bella domanda. E' chiaro che parlavo della mia tesi solo con chi me lo chiedeva (non volevo essere noiosa: si sa che i laureandi sono entusiasti della propria tesi e convinti che sia in assoluto la più interessante ed originale, forse perché, come ha detto il mio relatore, freudianamente questo è anche un modo per esaltare se stessi). Le persone con cui ne parlavo, dunque, erano persone che più o meno la pensavano come me (in quanto si trattava per lo più di amici e quindi di persone affini a me e al mio modo di pensare) e quindi quantomeno non mettevano in dubbio la non discriminabilità di qualcuno in virtù del proprio orientamento sessuale. Queste persone, poi, si dividevano tra chi riteneva che fosse giusto (come io sostengo nella mia tesi di laurea) elaborare norme antidiscriminatorie ad hoc per scongiurare la discriminazione di chi non è eterosessuale in virtù della considerazione della stigmatizzazione di parte della società nei confronti di certi modi di vivere la sessualità, norme, dunque, che contribuissero ad un'evoluzione della società in senso antidiscriminatorio, ossia che educassero la società al rispetto della diversità e dei diritti delle persone; e chi riteneva, invece, che l'elaborazione di tali norme integrasse essa stessa una forma di discriminazione, cosa che però dovrebbe dirsi a proposito di tutte le norme antidiscriminatorie come se l'elaborazione delle stesse valesse a sancire l'inferiorità di chi ne è tutelato e non a combattere l'odiosa realtà della discriminazione; è chiaro, poi, che il discrimine fra un aiuto legislativo ghettizzante ed uno lungimirante sta nel modo di fornire la tutela. E così è capitato che fra amici si intavolassero discussioni sul tema, tra una birra e una tisana, alla stregua dei thè ottocenteschi alla Casa Howard! Una reazione molto diffusa, tuttavia, era quella di chi diceva di <>: una frase che si commenta da sé, ma che per fortuna era numericamente molto inferiore rispetto alle altre e riguardava soprattutto i machi convinti o gli aspiranti tali di tutte le età (ovviamente, ripeto, in base alla mia ristretta esperienza). La reazione più diffusa, infatti, era quella di coloro i quali, pur non dubitando della parità di diritti e della assoluta eguaglianza tra chi è eterosessuale e chi non lo è, non riuscivano a comprendere ed erano quasi infastiditi, dall'orgoglio gay nonostante convenissero poi, con me, che l'orgoglio di essere in un determinato modo piuttosto che in un altro e le sue manifestazioni anche attraverso l'esagerazione e la provocazione costituiscono spesso una conseguenza della repressione e del disprezzo subiti sulla base di odiosi pregiudizi: insomma forse esaltare lo stereotipo equivale un pò a ridicolizzare chi crede nello stereotipo stesso o per pigrizia o per convinzione o per conformismo.
E il suo professore come l'ha seguita?
Il mio professore è, in generale, molto attento nei confronti di tematiche particolarmente attuali quale è anche quella trattata nella mia tesi di laurea e pertanto ha soddisfatto un suo interesse scientifico dando a me l'opportunità di trattare tale tematica. Ciò che si è sempre preoccupato di ricordarmi era che la tesi che stavo svolgendo era una tesi di diritto del lavoro e non di sociologia in quanto era facile, tra l'entusiasmo e tanto materiale non giuridico, dar vita ad una tesi più sociologica che non per l'appunto, giuridica; inoltre ha sempre richiamato la mia attenzione sul fatto che l'argomento da me trattato costituiva un tassello della più ampia e generale tematica della discriminazione a scapito di minoranze, per evitare, probabilmente, che dalla decontestualizzazione dell'argomento derivasse un risalto dello stesso oltremodo emotivo e poco credibile. La tesi, dunque, è nata con l' inevitabile connotazione sociologica data dai risvolti sociologici intrinseci all'argomento e si è sviluppata grazie ai suggerimenti e alle indicazioni fornitemi dal professore e grazie all'attività di ricerca da me svolta soprattutto su NOI.
Cosa si aspettava dalla discussione?
Avevo capito che il mio relatore era soddisfatto dal lavoro da me svolto e, tuttavia, il suo apprezzamento non poteva costituire una garanzia certa dell'apprezzamento anche da parte del controrelatore, il professore Maurizio Cinelli, docente di diritto del lavoro presso la facoltà di giurisprudenza di Perugia, né della generosità della commissione di laurea. Temevo che un argomento come quello della mia tesi non ricevesse troppa attenzione, nonostante fosse un argomento nuovo (e, quindi, con più probabilità di catturare l'attenzione rispetto ad un argomento inflazionato) in quanto temevo che anche in una sede formale come quella in cui si discute una tesi di laurea, potesse incidere nella valutazione il pregiudizio e che quindi io potessi, per esempio, essere penalizzata anche solo a causa dell'argomento trattato. Il fatto di essere esaminata da uomini di cultura e di legge non mi sembrava costituire, infatti, una garanzia contro il pregiudizio (ammesso ovviamente che il mio fosse un buon lavoro)! Tanti timori, invece, sono spariti nel nulla quando, in occasione dell'esame di laurea da me sostenuto il 24 febbraio 2000, ho ricevuto l'attenzione di tutti i docenti presenti (docenti di diritto del lavoro, come i miei relatori, docenti di procedura civile, di diritto penale, di procedura penale e di diritto commerciale), nonché un punteggio particolarmente gratificante. Autoironia: avevo, insomma, temuto che tutti coloro che non fossero me, quantunque fossero più colti e preparati di me non sapessero, tuttavia, cogliere e riconoscere la serietà dell'argomento incarnando, dunque, il prototipo del laureando incompreso! Ciò non toglie, tuttavia, che vi sono uomini di cultura e quel che è forse più grave di legge, che si esprimono in maniera molto pericolosa nei confronti della libertà di esprimere il proprio orientamento sessuale (in particolare nella mia tesi analizzo, a tal proposito, la motivazione di una recente sentenza del Consiglio di Stato).
Bene, ha altro da aggiungere?
Questo lavoro ha costituito per me un arricchimento personale e culturale. Sono venuta in contatto con problematiche molto stimolanti portate avanti con passione e vigore intellettuale da parte degli interessati. E infine, ho avuto il piacere e anche la fortuna di venire a contatto con persone che hanno avuto la cortesia e la pazienza di darmi consigli utili per il reperimento del materiale adoperato per la stesura della tesi.